sabato 19 luglio 2008

WERNER HERZOG_in celluloid we trust








VANITAS: IN CELLULOID WE TRUST
di Lorenzo Esposito (Filmcritica, n. 569, novembre 2006)

In primo luogo ho sentito a un certo momento il cinematografo completamente
vano.
(Roberto Rossellini, 1968)


Una domanda che bisogna porsi sempre: vedere, ma vedere cosa per fare cosa? Quel vedere troppo, che significa anche non riuscire più a vedere nulla, che significa anche restarne accecati - non sarà perchè, a forza di guardare, vediamo troppo poco?

Di Werner Herzog è facile pensare: vuole vedere cose mai viste. Ma la cosa è più complessa: è fortemente intenzionato a filmare cose che non esistono (e quindi che non si vedono?). L’immagine come miraggio di se stessa. In Fata Morgana l’inquadratura guarda verso il fondo del deserto, riprendendo due linee, una più vicina alla terra, l’altra che si allontana verso l’orizzonte. In quest’ultima si vedono con chiarezza delle alture, dei laghi, alberi, una macchina che gira in tondo. Herzog corre verso queste ‘visioni’, ma quando raggiunge il punto dove all’incirca gli sembrava si agitassero, si accorge che non c’è nessuna altura, nessun lago, nessun albero, nessuna macchina che gira in tondo.
Nulla, solo il deserto. Un miraggio, certo, eppure nel film quelle ‘cose viste’ ci sono, visibili nell’inquadratura, sono state riprese. Ciò che viene filmato è sempre possibile considerarlo visto? Si filmano solo cose che si vedono?

(Nel 1974 Herzog, raggiunto dalla notizia della grave malattia di Lotte Eisner, decide di partire a piedi da Monaco di Baviera a Parigi per “impedirle di morire”. Durante il viaggio - una scalata di quasi un mese - scrive un diario, pubblicato quattro anni più tardi col titolo Sentieri nel ghiaccio - “più bello di tutti i miei film”, chiosa nel commentario dvd di Fata Morgana. Nel diario, fra l’altro, si legge:
“Davanti a me non vedo che la strada. A un tratto, verso il crinale di un colle, ho pensato ecco là c’è un uomo a cavallo, ma quando ci sono arrivato vicino era un albero; poi ho visto una pecora e ho avuto il dubbio che fosse un cespuglio, e invece era una pecora moribonda. Moriva in silenzio, era patetica; non avevo mai visto morire una pecora. Andavo molto svelto”).

Il difficile, ma anche l’avventuroso e il tragico, sta nel cammino di ciascuno per ri-conoscere il proprio vedere, per accorciare la distanza che separa il tempo già passato di qualunque immagine e ciò che comunemente ci appare come la nostra vista.

Per questo Herzog ha paura. La paura muove tutti i suoi grandi visionari. La paura di andare ai confini del mondo, il desiderio di saperli inesistenti (oh, se la terra fosse piatta!). Tragico e trasparente come un cuore di vetro. Così anche il film, dopo le sue immagini, si spreca, sempre pronto a fallire, a cadere, a fare bancarotta (Fitzcarraldo). Se il set, o la natura, o la natura del set ‘imbarcano’ pellicola, se il film è solo quel set filmato (che altro poter fare in Aguirre, in Grido di pietra, in Wild Blue Yonder, se non filmare il film mentre si fa set...), ecco il miraggio del cinema.

Le poche immagini che ci è dato vedere nei film, non sono un’aggiunta a tutte quelle dei film precedenti, ma un altro tratto di discesa, una sottrazione di effetti che, forse, potrebbero un giorno condurci indietro all’occhio.

Ecco un segno di vita: il documento reso indocumentabile. Spogliato del suo set e reimmesso nel set fantasma del film. In tutti i commentari dvd Herzog ripete spesso “questa sequenza non l’ho girata io”, “qui non c’ero” (in Aguirre si vede la sua mano sorreggere il baldacchino che, insieme a tutta la troupe, sta davvero affondando nel fango - ed è una scena interna alla finzione film). Echi da un paese oscuro, Il paese del silenzio e dell’oscurità, Rintocchi dal profondo, ma anche Anche i nani hanno cominciato da piccoli, Cuore di vetro, Cobra verde, e ancora La grande estasi dell’intagliatore Steiner, La ballata del piccolo soldato, Il sermone di Huie. Che fragilità in tutta questa energia (volontà di potenza?). In questo febbrile narcisismo del documento, cui viene riconosciuta non la capacità di specchiarsi, ma la passione cinica con la quale, gettandosi a capofitto, manca sempre il suo oggetto supposto. E tutto, è sempre compromesso.

(Compromesso? Compromettersi? Vedi come le parole sfiorano l’invisibile? Questo mancare la realtà del documentario, questo esserne appena un’eco, tanto più falsa, quanto più documentata. Mai visto nessun regista, come Herzog, così intenzionato, in qualche modo misterioso quasi obbligato, a mettere in scena, soprattutto quando documenta).

Il cuore di vetro è lo sforzo dell’umano di superarsi, di trovare quella mutazione in grado di rinnovare la materia, di doppiare un senso per darne uno nuovo. Così, al contrario, questa immagine è troppo umana (per questo tutti questi film di fantascienza, da Fata Morgana a La soufrière a Apocalisse nel deserto a The Wild Blue Yonder?). Davvero, con Nietzsche, in cerca di quell’umanità che le permetta di superarsi e di essere superata.

(E alla fine il vuoto? Il nero? Brandelli di tempo che sottraggono visibilità al cinema, al suo ‘soggetto’. Forse saremo lì dove scompaiono in un colpo d’ala collettivo i rondoni de Il diamante bianco).

Paternità! Paternità! Ecco la questione-Herzog. Come non fu compresa la ‘bella’ inquadratura di Fitzcarraldo e come non fu capita l’immagine ‘sciatta’ di Invincibile. Nessuna delle due erano mai appartenute a alcuno, già non erano più nel momento stesso in cui credevano di mutarsi in film, restando frammenti di un’immagine senza identità. Oggi - Grizzly Man, Il diamante bianco, The Wild Blue Yonder - in attesa di poter filmare la propria morte, si è perfettamente celibi, neppure senza set e senza regia, ma semplicemente altrui.

(Il massimo per Herzog è stato forse girare in veste di attore Incident at Loch Ness di Zack Penn, un falso documentario su un falso film che Herzog finge di dover girare sul lago di Loch Ness, con un produttore bugiardo che a sua volta finge di dare i soldi a Herzog per svelare il mito del grande drago, ma che nel frattempo gira altri due film, uno con una coniglietta di play-boy fatta passare per tecnico del suono e un altro teso a falsare il già falso set con trovate che Herzog giudica eticamente irresponsabili, come fare la ripresa di un falso drago che mentre galleggia all’orizzonte sembra proprio quello vero... Poi però si fa vedere il vero Nessy, che attacca la barca, uccidendo due membri della troupe, uno del documentario di finzione e l’altro del documentario sul film di finzione - non a caso spesso si fa riferimento a Fitzcarraldo, sul cui set morirono degli indios. Mentre la barca affonda - colpo di genio - il regista attore Herzog d’istinto prende la camera abbandonata dall’operatore ucciso - fuori campo la sua voce commenta: “Non so perchè l’ho presa, sicuramente un istinto dovuto a anni di esperienza. Non c’era nient’altro da fare che filmare” - e da solo nell’acqua filma il mostro di Loch Ness, che gli passa accanto, lo tocca, ma lo lascia in vita. Incident at Loch Ness, non un capolavoro, ma esemplarmente teorico, è stato scritto da Herzog stesso con il regista Zach Penn).

Herzog non è un visionario, ma insegue il visionario, sogna di raggiungere il cinema stesso, qualcosa che, se lo si sta vedendo, come minimo vuol dire che è già passato. Ecco perchè fa un cinema così tragico. È come guardare il proprio cadavere: l’autopsia come abbandono al vedere (di nuovo la ricerca del proprio occhio, Herzog e Brakhage). - E il cinema allora resta una lingua sconosciuta. L’enigma di Kaspar Hauser, How Much Wood Would A Woodchuck Chuck..., Fede e denaro, Woyzeck, Dove sognano le formiche verdi, Nessuno vuole giocare con me, La ballata di Stroszek, I medici volanti dell’Africa Orientale, Wodaabe, I pastori del sole, Demoni e cristiani nel Nuovo Mondo. Freak, ma non perchè un nano pone problemi di ‘contenimento’ dell’inquadratura, quanto invece perchè la deficienza mutagena è quella dell’occhio, che cerca con accanimento l’invisibile senza mai potersi soddisfare. Così è anche Herzog: più è fisico, più denuncia una decomposizione, un difetto mostruoso, una lacerazione, l’enigma e la sua trasparenza.

(La stessa finzione che dire io che scrivo un saggio su una rivista per dei lettori).

Ma poi, a ben vedere, si filmano solo temperature - rocce, foreste, deserti, aria, acqua, fuoco, ghiaccio, sottosuolo. Possibilità di essere visti: zero.

4 commenti:

Luciano ha detto...

Molto profonda e interessante questa recensione. Filmcitica è per me la migliore rivista di cinema in circolazione. Purtroppo non riesco sempre a procurarmela. Devo decidermi a sottoscrivere un abbonamento.

Francesco Dongiovanni ha detto...

...hai ragione...è la rivista più importante, ma ha vari problemi di distribuzione e di sopravvivenza...se posso permettermi, te ne segnalo anche un'altra molto interessante, FATA MORGANA (trovi il link da noi)...anche qui obbligatorio l'abbonamento...

ciao,
a presto,

bandeàpart

Luciano ha detto...

Ho visitato il sito di Fata Morgana. Una rivista interessante. Argomenti e "articoli" da non perdere. Inoltre nel Comitato Scientifico c'è Sandro Bernardi, mio maestro e caro amico (non lo sapevo!). Mi abbonerò alla rivista. Grazie^^

Francesco Dongiovanni ha detto...

figurati...mi fa piacere 'promuovere' una rivista così importante e ben fatta...

alla prossima