lunedì 14 dicembre 2009

A CHRISTMAS CAROL di Robert Zemeckis














Il perfetto racconto di Natale di Mariuccia Ciotta (Il Manifesto, 3 dicembre 2009)

«Vorrei che qualche filosofo ben nutrito...dal sangue di ghiaccio e dal cuore di acciaio, potesse vedere Oliver Twist gettarsi su quel cibo disgustoso rifiutato dal cane». Così Charles Dickens vede la Londra di metà Ottocento, quella della rivoluzione industriale e della povertà assoluta, delle workhouse, reclusori per orfani e emarginati, fabbriche di lavoro sottopagato dove lo scrittore inglese bambino finì a lucidare scarpe, dopo che suo padre, contabile della marina, venne arrestato per debiti. È forse lì che Dickens immaginò i suoi giustizieri fantasmi che nelle notti di Natale tormentano i signori Scrooge.


Il racconto A Christmas Carol esce nel 1843, cinque anni dopo Oliver Twist, che rinasce col nome di Tim, il piccolo claudicante motore della redenzione dell'avaro Ebenezer dal «sangue di ghiaccio e dal cuore di acciaio». Ed è in questa atmosfera cupa, nella notte londinese, alla vigilia di Natale che Robert Zemeckis materializza lo spirito di Dickens nel film d'animazione che fonde letteratura, teatro, cinema, corpi reali e immaginari e fa volteggiare la macchina da presa in traiettorie impossibili. Lo sguardo circolare avvolge la scena, non più campi contro-campi ma un'immersione totale che il 3D amplifica. Spazio e tempo si riallineano secondo un'altra realtà, e il passare dei fotogrammi non è più la vita in dissoluzione permanente, il cinema come «morte al lavoro 24 fotogrammi al secondo», ma un al di là assoluto e abitabile, uno stato di eclisse e di coscienza. È il cinema mentale di Eisenstein, che non caso esplorava la metamorfosi disneyana, ne studiava gli effetti e la percezione, i mondi creati a partire dal «vero». Disney applicava la tecnica del rotoscope per ricalcare i movimenti dei suoi personaggi di carta, e Zemeckis ne utilizza una versione aggiornata nel suo A Christmas Carol, la motion capture, un sistema che permette di acquisire la voce e i gesti degli attori attraverso l'applicazione di mille sensori sui corpi e sui volti. Le sembianze mutano, ma l'espressione e la carica emotiva dei protagonisti restano, così Jim Carrey può interpretare non solo Scrooge vecchio, ragazzo e bambino, ma anche i tre spiriti del Natale, passato, presente e futuro. La stessa cosa vale per Gary Oldman nella parte del socio defunto Jacob Marley e dell'angariato contabile Cratchit, e per Bob Hoskins, Robin Wright Penn, tutti, tranne Colin Firth, moltiplicati per due, tre, quattro personaggi di ogni età (purtroppo li sentiremo doppiati nella versione italiana). A questo attore/ibrido, un po' sintetico un po' di carne e ossa, è restituita l'integrità della recitazione, infatti le riprese avvengono senza soluzione di continuità, come su un palcoscenico, e captano ogni gesto e movimento. Poi il computer farà il resto. Una «macchina del tempo», Robert Zemeckis immagina così il testo di Dickens, secondo la sua vocazione al viaggio spazio-temporale (Back to the Future) e inizia la sua avventura nello studio freddo e buio di Ebenezer Scrooge, che per amore ha l'oro, odia il Natale, nega l'elemosina, tiranneggia il suo dipendente, rifiuta l'invito al cenone della vigilia dell'esuberante nipote e se ne torna a casa curvo e cupo sotto i fiocchi di neve. La città proietta ombre inquietanti, il batacchio del portone si anima e brilla nel ghigno del socio morto, il primo a fargli visita, fantasma luminescente e incatenato che gli annuncia le terribili apparizioni. Scenografia e testo, fedelissimi all'originale, dichiarano l'interesse del regista alla storia, che le mette a servizio la tecnica, già sperimentata in Beowulf e in The Polar Express.

Canto di Natale (bellissime le musiche di Alan Silvestri) sprigiona dalle pagine del capolavoro disckensiano la sua carica di orrore e meraviglia, un film spaventoso nell'attesa dei revenant che appaiono testimoni della disumanità dell'uomo, proiettato all'indietro nel tempo mano nella mano con uno spettro-fiammella, una saetta di luce che vola fino al villaggio del piccolo Scrooge, abbandonato in un college, solo ogni 24 dicembre e poi ragazzo innamorato ma che a lei preferì lui, il denaro.

I velocissimi cambi di scena, il punto di vista obliquo e trasversale, la sensazione di precipitare e di essere catapultati tra le stelle in questo semi-mondo (im)materiale ricorda l'esperienza del sogno, vertigine e spaesamento in un paesaggio di creature «senza organi». Il Natale presente è una specie di Santa Claus disneyano, gigante seduto su una montagna di dolci e leccornie, dalla fragorosa risata (come nella celebre Silly Symphony) e il Natale futuro è un'ombra silenziosa dagli artigli scheletrici, la Morte, che nasconde tra le sue vesti due bambini-mostri, lividi simboli di miseria e abbandono. L'avaro di fronte alle visioni lugubri della sua tomba deserta, del disprezzo e del turpe commercio dei suoi abiti «rinasce» nella nuova dimensione del presente, ed è tutto uno scampanellio di festa e di generosità. Il cinico capitalista di Dickens si tramuta nell'altruista che dispensa doni natalizi e spedisce un ragazzo con un tacchino gigante a casa dell'afflitto dipendente...Tim e Scrooge finalmente insieme.

A Christmas Carol è il primo film in motion capture realizzato in partnership con la Disney, con cui la ImageMovers di Zemeckis & soci (sede a Marin County, baia di San Francisco, accanto ai tecno-creativi Coppola, Lucas, Lasseter) ha stretto un accordo, e che nel 1983 aveva realizzato uno stupendo cartoon con Paperon de' Paperoni, personaggio ispirato proprio a Scrooge. Walt non poteva prevedere che i suoi esseri di inchiostro un giorno avrebbero avuto una pelle digitale e una esistenza reale, tanto che Hollywood, dopo aver premiato i film d'animazione con l'Oscar, è ora di fronte a un interrogativo: si può nominare «miglior attore» un essere dell'aldilà e dell'aldiqua? Sospeso tra la superficie sintetica e l'espressione umana, Jim Carrey fa trapelare da ogni immagine le vibrazioni emotive dei personaggi, qualcosa di travolgente che libera il cinema dai vincoli terreni. Anche A Christmas Carol di Zemeckis può competere con il film live e il cartone animato, di entrambi distilla le meraviglie e l'incanto.

3 commenti:

Lindalov ha detto...

L'altra sera, per la prima volta, mi son guardata, in lingua originale, Bande à part.
(C'è sempre una prima volta - meglio tardi che mai)

Piaciuto tanto :D

Francesco Dongiovanni ha detto...

film splendido, vero????

AlDirektor ha detto...

Tanti auguri di Buon natale!