venerdì 27 giugno 2008

Earth Intruders_ BJORK VIDEOGRAPHY_4



Sergio Di Lino da Cinemavvenire.it

Ogni cosa che fa è un evento, ne possiede tutti i crismi e la totale consapevolezza. Su Björk sono state spese tutte le parole di elogio possibili e immaginabili, quindi sarebbe pleonastico ricondurre ogni discorso a quanto sia brava/creativa/innovativa e così via. Quello che ci preme sottolineare è come ogni sua nuova uscita sposti l’asse percettivo del suo lavoro, riconfigurando le coordinate della sua musica secondo le ispirazioni dettate dalle contingenze delle ultime "esplorazioni" sonore della cantante islandese. Björk è un’instancabile ricercatrice, che coniuga alla perfezione istinto e calcolo, ed è per questo motivo che la sua musica traccia uno dei solchi più profondi dell’orizzonte sonoro contemporaneo. Ciò la rende figura "intellettuale" e "popolare" al tempo stesso, come se all’interno del suo DNA musicale convivessero entrambe le anime, e anziché cercare una virtuosa forma di ripartizione degli spazi e degli ambiti facessero a gara per sopraffarsi a vicenda.
Non avremmo neanche bisogno di prove per suffragare quanto affermato, ma per chi ancora avesse dei dubbi provi ad "assaggiare" il sesto album della cantante, intitolato Volta, che manca un ulteriore scarto rispetto alla produzione precedente, in particolare il predecessore Medùlla. Se infatti l’album del 2005 era tutto incentrato sulla sperimentazione (quasi) esclusivamente vocale, come un viaggio – a tratti persino estenuante – attraverso le infinite variazioni e declinazioni della voce umana nelle varie epoche e culture (arricchito in ciò da una moltitudine di guest stars), questa nuova produzione si muove in direzione totalmente opposta, stratificando il suono e imbottendolo di strumentazioni inusuali e spesso fra loro inconiugabili. Sembra quasi di assistere alle svisate naïf di alcuni dei brani dei suoi esordi da solista, come Human Behavior, ma con una consapevolezza delle proprie potenzialità addirittura superiore. Ritmi africani, orientali, percussioni, ottoni, un pastiche che si riverbera da un brano all’altro, senza soluzione di continuità.
Il video è a sua volta l’ennesimo esperimento visivo, condotto da un regista di lusso, nella fattispecie il sessantenne francese Michel Ocelot, che sfrutta l’occasione offertale dalla cantante islandese per orchestrare un’ispirata variazione sul tema "grafico" centrale in alcune sue opere quali Principi e principesse e Azur e Asmar. Il gioco sulle silhouettes, di ambientazione ancora una volta africana, proprio come nei lungometraggi di Ocelot, è innanzitutto un espediente per giocare sul ritmo, in controtendenza all’andatura sostenuta del brano di Björk: se infatti questo è caratterizzato da un incedere incalzante e ossessivo, il breve film di Ocelot vi oppone uno scorrimento estremamente fluido, quasi teso a negare il concetto stesso di ritmo; o meglio, alla ricerca di un suo ritmo interno, avulso e indipendente dalle pulsazioni della canzone.
Il risultato, diciamolo senza vergogna, rasenta la perfezione assoluta: dalla crasi fra le immagini di Ocelot e la musica di Björk scaturisce un distillato di poesia pura. Difficile dire – e qui si attesta il limite invalicabile dell’analisi – se sia l’insieme a determinare un surplus rispetto alla somma delle parti. Ma è innegabile che, per l’ennesima volta, Björk sia riuscita a offrirci della sua musica una dimensione ulteriore, una sovrastrutturazione di significati che è tutta insita nell’orizzonte delle emozioni. E pensare che c’è ancora qualcuno che la accusa di essere troppo "fredda"…

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