giovedì 12 novembre 2009

UN'ALTRA GIOVINEZZA di Francis Ford Coppola (2007)




















Il sogno d'una rosa di Alessandro Cappabianca (Filmcritica, n. 579, novembre 2007)

Nel film di Coppola del 1986, Peggy Sue tornava indietro nel tempo, in seguito a uno svenimento durante una festa, ringiovanendo, mi pare, di venticinque anni. Più o meno di quanto ringiovanisce il settantenne rumeno, Dominic Matei, studioso di linguistica, colpito (nella Bucarest del 1938) da un fulmine che avrebbe dovuto incenerirlo, del quale invece assorbe miracolosamente la spaventosa energia: per cui non solo torna un quarantenne di bell’aspetto (e molte donne si interessano di nuovo a lui), ma acquista un tale potenziamento anche delle sue capacità psichiche da essere capace di assimilare il contenuto d’un libro solo prendendolo in mano e di imparare alla perfezione il cinese e altre lingue più antiche e oscure (tipo sanscrito) in brevissimo tempo.


Si può dire che diventa un Superuomo? É quanto pensano i nazisti, che nel frattempo hanno invaso la Romania, e intendono rapire Dominic per compiere esperimenti (più o meno diabolici) su di lui.

Per noi, un Superuomo non lo è di sicuro, per quanto sia in grado, con la sola forza della volontà, di rivolgere la canna d’una pistola contro chi gliela punta addosso. Qualcosa di angoscioso, il ricordo d’un trauma non sanato (l’abbandono, tanti anni prima, da parte di Laura, suo unico grande amore), continua a tormentarlo, fin dal sogno inquietante (se sogno è) d’inizio film (sui titoli di testa), dove vediamo scorrere e incastrarsi gli ingranaggi meccanici, mille volte ingranditi, d’un orologio che è l’orologio del tempo e del rimpianto, vecchio dono di Laura in pegno di fedeltà eterna, le cui lancette, però, scorrono ormai rapidamente e inesorabilmente in senso antiorario.

Coppola pone dunque subito il film nel segno del tempo rovesciato, i cui paradossi ci stupiscono, ma la cui rappresentazione può aver luogo solo attraverso la messinscena d’uno spazio rovesciato. Voglio dire: Un’altra giovinezza non è, non può e non vuole essere, un film palindromo, come era p.e. Le couple di R. Ruiz (1980), anch’esso, guarda caso, dedicato alle vicissitudini d’una coppia di amanti - film in grado di cambiare senso a seconda che venga proiettato “normalmente” o “alla rovescia” (ma si pone subito il problema, allora, di quale sia da considerare la proiezione “normale”). In Un’altra giovinezza, peraltro, ci ricordano Ruiz certe inquadrature della bocca di Dominic, dalla quale cadono i vecchi denti per far posto ai nuovi, appena spuntati, in una sequenza che, tra l’altro, sembra mettere tra parentesi la vecchia idea freudiana dell’ossessione di perdere i denti come angoscia di castrazione.

Tuttavia, la diegesi del film di Coppola non può che procedere in avanti – il tempo non è proiettabile al contrario, se non mentalmente, o col ritorno inopinato di certi personaggi (prima di tutto Laura, reincarnata in Veronica). La metempsicosi, al limite, resta un espediente, in base alle suggestioni del romanzo d’uno storico delle religioni come Mircea Elide (ma qui si può forse reperire qualche lontana eco della Doppia vita di Veronica di Kieslowski). L’avvicinamento al proto-linguaggio, al momento originario del logos, alla prima dominazione delle cose, alla più antica espressione verbale strutturata, in fondo rimane il sogno non realizzato di Dominic, malgrado alcuni brevi frammenti pronunciati da Veronica durante uno di quegli stati di “estasi mistica” che lentamente l’uccidono, cui Dominic decide di porre termine, abbandonandola, poiché l’ama, per salvarle la vita (così come Laura, per amore, aveva abbandonato lui).

E’ lo spazio rovesciato allora, o meglio, il rapporto rovesciato tra macchina da presa e spazio, a rappresentare il rovesciamento del tempo, spesso attraverso un’operazione letterale, esplicita, di inquadrature riprese a macchina non solo obliqua, ma completamente rovesciata. Operazione esplicita, sì, ma i cui esiti risultano tutt’altro che risaputi: non è solo che il basso diventi l’alto, e viceversa – sono sconvolti i nostri stessi codici di riconoscimento, si confondono le coordinate, si perdono i riferimenti.

Sta qui, a mio parere, lo spessore filosofico del film di Coppola, nella perdita dell’automaticità della percezione, dei suoi stessi a-priori (e di conseguenza dell’andar-da-sé del soggetto), non nei filosofemi da orientalistica in pillole.

Dolore, perdita, rimpianto, memoria. Vecchi album di fotografie che dovrebbero confermare/ricordare il passato, e inopinatamente, invece, non fanno che smentirlo. Ambiguità di Mnemosyne. Tempi incrociati. Parallele che si incontrano. Ripetizioni e differenze. Sogno della farfalla. Sogno della rosa, il centro del cui bocciolo somiglia a un occhio scolpito nella roccia.

Film come sogno, infine. Prima di addormentarsi (o riaddormentarsi?) sulla neve, stavolta davvero per sempre, di nuovo a Bucarest (ma l’aveva poi mai davvero lasciata?), Dominic ha reicontrato i suoi vecchi amici, i colleghi del liceo, che festeggiano il suo ritorno (ritorno?). Li incontra o li sogna? Forse anche loro sono morti, come i vecchi scrittori colleghi del protagonista di Dias da campo di Ruiz, seduti ai tavoli di un bar di Santiago, invece che, come accade qui, a quelli oscuri e un poco malinconici, ma ugualmente incantati, d’un Caffè mitteleuropeo.

7 commenti:

Euterpe ha detto...

Avevo visto peggy sue e mi era piaciuto,di questo film ne avevo sentito parlare quando era uscito ma non sono andato a vederlo,però la tua recensione mi spinge a noleggiare il dvd.Mi hai incuriosito.

Francesco Dongiovanni ha detto...

ti consiglio assolutamente la visione...grazie per la visita...ciao

P.S. la recensione non è mia, ma come ho segnalato è tratta da, secondo me, la migliore rivista di cinema in italia, Filmcritica...

Lindalov ha detto...

Che ne pensi Haneke? E di Lars von Trier? Onesto, ti voglio onesto.

Francesco Dongiovanni ha detto...

Haneke mi piace poco e niente...Lars Von Trier solo per le primissime cose...e tu?

riccardo uccheddu ha detto...

Guarda, non lo dico per sviolinare ma questo post mi ha fatto venire la pelle d'oca!
Infatti, non ho ancora visto il film di cui parli ma mi incuriosisce molto.
Avevo visto però "Peggy Sue" e mi ero ritrovato molto nel protagonista, nella sua ansia, nelle sue paure, nel suo cercare di fare qualcosa di buono quando lui stesso non era in grado, forse, di farlo.
Il tema poi del tempo e delle sue diramazioni-regressioni-anticipazioni mi ha sempre affascinato e probabilmente, anche tormentato. Hai letto "Orfeo in Paradiso" di Luigi Santucci?
Adesso mi fermo qui o mi esalto troppo!
Grazie per il contatto, in giornata ti linko anch'io.
Ciao!

Lindalov ha detto...

Haneke lo adoro, Lars von Trier non lo sopporto, é esagerato; il Berlusconi del cinema.

Ho visto Segreti di famiglia di Coppola. Non mi é piaciuto eccetto per qualche inquadratura, Vincent Galllo e MAribel Verdù, piaciuta sempre poco (ha sempre voluto strafare nelle sue interpretazioni, la trovavo oziosa quando vivevo in Spagna e lei esordiva) ma in questo film l'ho trovata sensuale e molto bella.

Arwen Lynch ha detto...

Questo film mi è piaciuto tantissimo, mi fa piacere che hai pubblicato una recensione :) ti dirò che ho iniziato a prendere più in considerazione Coppola (anche se mi piaceva preferivo Scorsese, oggi ho cambiato idea) e ritengo sia un grandissimo autore, per questo film che ritengo uno dei più maltrattati della sua carriera, sia anche uno dei più sottovalutati dalla critica e dal pubblico, si dovrebbe riscoprire e farlo rivalutare :)